Colòni – spettacolo 2023

Eccoci! Siamo finalmente pronti ad annunciare 𝐢𝐥 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐚𝐮𝐭𝐨𝐝𝐫𝐚𝐦𝐦𝐚 : COLÒNI, 𝐢𝐧 𝐬𝐜𝐞𝐧𝐚 𝐞 𝐢𝐧 𝐩𝐢𝐚𝐳𝐳𝐚 𝐝𝐚 𝐬𝐚𝐛𝐚𝐭𝐨 𝟐𝟗 𝐥𝐮𝐠𝐥𝐢𝐨 𝐚 𝐥𝐮𝐧𝐞𝐝𝐢̀ 𝟏𝟒 𝐚𝐠𝐨𝐬𝐭𝐨, escluso lunedì 31 luglio! Giunto alla sua 57° edizione, l’autodramma della gente di Monticchiello è una drammaturgia partecipata da un’intera comunità, un rito collettivo che ogni anno, dal 1967, torna nella piazza del nostro borgo. Per resistere e per esistere…

ℹ️  INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI –
📞Prenotazioni telefoniche: (+39) 0578 75 51 18, dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18.
🗒️Prenotazioni online al link https://teatropovero.it/prenotazione/
Dopo l’inizio dello spettacolo sarà vietato l’ingresso anche ai posti prenotati. (Solo in caso di mancato funzionamento della linea fissa, chiamare questi numeri per le prenotazioni: (+39) 338 76 46 516 o (+39) 0578 75 52 73).
Da sabato 29 luglio a lunedì 14 agosto sarà ‘in piazza e in scena’ il 57° autodramma del Teatro Povero di Monticchiello, “COLÒNI”. Una drammaturgia partecipata da un intero paese che si interroga su questioni cruciali per la comunità e in cui chi guarda può di riflesso riconoscersi e ritrovarsi. Tradizione sperimentale che ogni anno propone un nuovo testo, lo spettacolo del Teatro Povero di Monticchiello è ideato, discusso e recitato dagli abitanti attori. Ogni estate ‘in piazza’ nello splendido borgo della Val d’Orcia. 

COLÒNI, 57° autodramma del Teatro Povero

La prima rappresentazione in cui il Teatro Povero prese il volo, pur avendo iniziato da un paio d’anni a farsi le ossa nelle piazze, avvenne la notte del 20 luglio 1969; per coincidenza fortuita e significativa, proprio in quelle ore tre astronauti portarono allora per la prima volta l’umana curiosità a spasso su un suolo, quello lunare, mai prima di allora calpestato. L’allunaggio fu salutato ovunque come una potenziale premessa a un’epoca di grandi conquiste: ancora una volta, quelle “magnifiche sorti e progressive” parevano doversi avverare.

Allo stesso modo, passando dal grande al piccolo, un medesimo ottimismo sembrò sbocciare quella notte dall’inizio dell’avventura teatrale in quel piccolo borgo della Val d’Orcia, allora valle spopolata e desolata, lunare davvero, nelle sue crete da secoli appena ingentilite da stuoli di mezzadri sofferenti ma operosi. Il primo ‘autodramma’ portò in piazza la riproposizione della gloriosa battaglia partigiana avvenuta nel borgo il 6 aprile del 1944.

Epopee e speranze a diversa scala, dunque. Speranze, va detto, seguite da inesorabili disillusioni: perché l’epoca successiva ci ha donato sì meraviglie, ma anche, purtroppo, nuove sofferenze e storture, strozzature dell’uomo sull’uomo e di questo sulla natura… Per arrivare, venendo all’oggi e alla parte ‘agiata’ del globo, la nostra, a una certo ammirevole e appagante eccedenza di tutto: merci, consumi e feticci. Una bulimia nella quale comincia però a farsi strada un vago senso di troppo, il dubbio che l’ostentata felicità dell’abbondanza nasconda anche inevitabili quote d’insensatezza, cui si accompagna anzi la percezione dell’incombere di una qualche forma di ritorsione per il di più, per l’eccesso, per il tracimare di cui abbiamo fatto regola comune e unica: sono scricchiolii di allarme, quelli della natura e del clima, che molti del resto preferiscono bellamente ignorare o direttamente negare in modo risoluto. 

Eppure… Eppure se qualcosa davvero dovesse andare storto, se un domani fossimo costretti a una più radicale, estrema, definitiva partenza, a un abbandono coatto della nostra terra come quello cui furono obbligate generazioni di mezzadri, così come oggi accade ogni giorno a tante e tanti solo per aver avuto in sorte di nascere ad altre latitudini, ebbene, solo allora, forse, saremo in grado di porci infine il quesito: cosa voglio con me? Di cosa ho davvero bisogno? A cosa non posso rinunciare? Di quale superfluo non posso fare a meno, affinché non debba ridurmi all’essenziale?
Coloni, ieri come oggi, necessariamente in marcia.

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